Assediati dalla plastica. “Il riciclo è un flop siamo sotto il 10%”

L’ultima disperata speranza arriva dal Giappone. Nei laboratori del centro CEMS di Wako, non lontano da Tokyo, un gruppo di ricercatori ha appena annunciato di aver sviluppato una plastica in grado di dissolversi nell’acqua in poche ore, ma la sua commercializzazione è ancora lontana. Si tratta dell’ennesimo esperimento che va ad aggiungersi alla lunghissima serie di tentativi per ovviare a un problema enorme che l’umanità non sa risolvere: l’inquinamento da plastica, materiale ormai letteralmente presente ovunque, perfino nel nostro cervello. Tra batteri mangia plastica, gigantesche navi-reti per ripulire gli oceani, battaglie ai tappi o alle cannucce e direttive di ogni tipo, sono ormai anni che il mondo prova ad arginare la plastica senza riuscirci: il problema è che non sappiamo ancora gestirla. Ad oggi ne ricicliamo appena il 10% e quasi un quarto di tutta quella prodotta finisce o in discariche sbagliate o in ambiente.
Per dire: la famosa immagine del cavalluccio marino che cavalca un cotton fioc nel cuore degli oceani è di otto anni fa ma nel frattempo, anziché migliorare, le cose sono peggiorate. Per questo oggi, giorno in cui si celebra la Giornata mondiale dell’Ambiente, il tema centrale in difesa della natura è tornato ad essere la lotta a quell’inquinamento da plastica che, senza decisioni drastiche, secondo le stime dell’Onu triplicherà entro il 2040, riversando ogni anno negli oceani del mondo dai 23 ai 37 milioni di tonnellate di rifiuti. Tenendo conto di quanto i mari già soffrono fra acidificazione, surriscaldamento e perdita di biodiversità, per molti scienziati sarebbe una catastrofe. Parallelamente, la produzione di plastica sta intanto aumentando le emissioni che provocano la crisi del clima.
Ricercatori cinesi lo hanno anche dimostrato: di 400 milioni di tonnellate di plastica prodotte in un anno solo 38 milioni sono stati realizzati con polimeri riciclati, tutto il resto invece è prodotto da fossili come carbone e petrolio che alimentano le emissioni. E allora si è arrivati al punto che l’unica via possibile per aiutare l’ambiente sia limitare alla base la produzione di plastica. Di questo discutono ormai da anni 100 Paesi impegnati a trovare un’intesa sul “Trattato globale sull’inquinamento da plastica”. Produttori di combustibili fossili, come Arabia Saudita e Russia, si oppongono all’idea di limitazioni, ma decine di altre realtà tra cui Ue, Corea del Sud o Australia - chiedono invece riduzioni globali che siano giuridicamente vincolanti, oltre all’eliminazione graduale di alcune sostanze chimiche e dei monouso.
Esattamente fra due mesi, a Ginevra, ci sarà un nuovo round dei negoziati: finora sono tutti falliti e quella svizzera sembra quindi l’ultima spiaggia non solo per aiutare il pianeta, ma anche per dimostrare che il multilateralismo funziona ancora e che, in vista della conferenza sul clima che si terrà a novembre in Amazzonia (COP30), esiste una via alternativa al “trivellare, baby, trivellare” con cui Donald Trump intende riportare in auge petrolio e plastica. In tal senso, in tempi di conflitti sui dazi, una risposta importante potrebbe darla la Cina, oggi il maggiore produttore e consumatore di plastica. In passato ha mostrato lievi aperture a possibili riduzioni vincolanti della plastica vergine, ma è mancata una vera collaborazione con altri Paesi. Eppure, mettendo da parte le diversità, si potrebbe fare tantissimo per l’ambiente: ce lo hanno insegnato in questi giorni anche i pirati della conservazione marina, Sea Shepherd, e le guardie del Mediterraneo, la Guardia Costiera italiana. Si sono uniti per portare respiro: tornando insieme in mare, hanno rimosso tonnellate di reti da pesca e di materiali plastici che soffocano i nostri mari.
La Repubblica